COME IL CERVELLO COSTRUISCE IL MOVIMENTO

L'organizzazione del gesto motorio è il frutto di un coordinato e complesso coinvolgimento di diverse strutture anatomiche del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e Periferico (SNP) che regolano e modulano la funzione delle strutture effettrici, cioè il sistema muscolare.
Questa tipologia di organizzazione è un sistema circolare e ricorsivo, nel quale non è possibile definire un punto di partenza ma, per comodità descrittiva e didattica, si parte dalle strutture più craniali per poi arrivare fino al muscolo.
Per cominciare, è importante sottolineare che tutto il movimento umano è governato da azioni su base riflessa ed automatica, ed è controllato dal SNC.
Ogni comportamento motorio dipende da processi decisionali che coinvolgono stati cognitivi ed emozionali (Takakusaki, 2008) e differenti aree del SNC. Indipendentemente dal fatto che lo start del movimento sia avviato da processi decisionali, il mantenimento e la correzione del gesto motorio interessa processi automatici generalmente definiti Aggiustamenti Posturali Compensatori (APC) (Park, 2004) e Aggiustamenti Posturali Anticipatori (APA) (Takakusaki, 2017 – Richard, 2017). I primi (anche chiamati "controllo a feedback") intervengono quando la perturbazione ambientale è imprevedibile e sono aggiustamenti del gesto innescati dalle informazioni sensoriali derivanti dall'occhio, vestibolo, recettori muscolari e meccanocettori legamentosi e fasciali; i secondi (anche chiamati "controllo a feedforward") intervengono quando la perturbazione ambientale è prevedibile e sono aggiustamenti muscolari che avvengono 150 – 300 msec prima dell'inizio di un movimento. Gli APA sono il risultato di un processamento delle informazioni relative alle caratteristiche fisiche e del moto della perturbazione, come velocità, direzione, stima delle dimensioni e peso etc. (Aruin & Latash, 1995 - Bertucco, Cesari, Latash ,2013), ma anche alla postura iniziale prima del movimento (Bertucco & Cesari, 2010).
La pianificazione e la progettazione del movimento avvengono in specifiche aree del cervello che, come detto, si verificano successivamente a processi decisionali. Il cervello invia il "progetto motorio" sia agli effettori (i muscoli), per il tramite delle vie del midollo chiamate cortico – spinali, sia al cervelletto per il tramite delle vie cortico – cerebellari. Il cervelletto funge da stazione di controllo e fa una comparazione tra il progetto stabilito dal cervello e ciò che realmente sta avvenendo durante il gesto motorio grazie alle informazioni propriocettive, visive e vestibolari. A questo punto, il cervelletto stabilisce in tempo reale l'esistenza o meno della congruenza tra ciò che ha progettato il cervello è ciò che sta avvenendo alla periferia. Se la congruenza tra questi due ordini di informazioni è rispettata, il progetto motorio può continuare senza correzioni, se invece la congruenza non è rispettata allora il cervelletto invia output di correzione del progetto, direttamente agli effettori per il tramite delle vie cerebello – spinali. Quanto appena descritto sta alla base degli APC. Gli APA e gli APC sono sistemi che lavorano sinergicamente, non possono essere separati e sono allenabili (Kanekar & Aruin, 2015).
Una particolarità organizzativa delle vie che trasportano i segnali motori ai muscoli risiede nel fatto che, le vie cortico – spinali, presentano, per i 2/3, fibre provenienti da aree cerebrali che progettano e pianificano il movimento (area 5, 6, 7) ed un contingente di fibre provenienti dalle aree sensitive e solo 1/3 dall'area 4 (che è un'area puramente esecutiva). Inoltre, solamente il 2% di tutte queste fibre sono ad alta velocità di conduzione. Questo è un altro fatto di estrema importanza per chi si occupa di movimento perché, da un lato individua un collegamento diretto tra progettazione e pianificazione del movimento e gli effettori muscolari, bypassando l'area esecutiva, da un altro lato identifica con precisione l'importanza dei processi ideo – motori durante l'apprendimento e la correzione di un gesto motorio.

Perciò, la volontarietà di un gesto o un'azione dipende solo dalla capacità di passare da uno stato di quiete a uno stato di moto e non dalla possibilità di discriminare o decidere volontariamente quale muscolo o articolazione coinvolgere. Infatti la suddivisione dei muscoli in "volontari e involontari" è puramente didattica: si provi a contrarre uno scaleno anteriore. Pur essendo un muscolo striato, quindi volontario, chi di noi sarebbe in grado di farlo in maniera isolata? E questa "sfida" potrebbe essere rivolta a qualsiasi muscolo corporeo. Questo perché il nostro cervello non riconosce il muscolo in sé, ma il movimento. J. Krakauer (Assistant Professor, Department of Neurology, Columbia University) e C. Ghez (Profes¬sor, Department of Neurology, Columbia University) scrivono: "…un muscolo può essere sempre attivato dalla stimolazione di siti corticali diversi e ciò dimostra che ad ogni muscolo si proiettano neuroni di più siti corticali. Inoltre, la maggior parte degli stimoli attivano più muscoli, mentre l'attivazione dei singoli muscoli si osserva solo raramente".
Si consideri che i due ricercatori si riferiscono ad un'attivazione esogena, cioè esterna, per cui un'attivazione volontaria non potrà mai eccitare un singolo muscolo, proprio perché il SNC è adattato a finalizzare ogni forma di movimento e ad immagazzinare una quantità variabile di schemi motori modificabili dall'esperienza grazie alla plasticità neuronale. La contrazione volontaria di un singolo muscolo non avrebbe alcuna utilità nel soddisfare queste caratteristiche.
Gran parte della cultura motoria e riabilitativa si è sviluppata intorno al mito dei muscoli, che sono certamente utili alla "causa" perché costituiscono l'ultimo anello della catena che, attraverso la contrazione, permettono lo spostamento dei segmenti corporei, ma non rappresentano la porta d'accesso verso l'apprendimento e la correzione di un gesto motorio perché, da quanto descritto, è evidente come "subiscano" gli ordini stabiliti dal SNC e non entrino in alcun modo a far parte del processamento e dell'elaborazione del progetto motorio. Quest'aspetto è tanto più vero quanto ci si avvicina ad atleti già molto ben condizionati e che si trovino a dover affrontare un percorso di revisione delle propria tecnica, o in atleti principianti dove il condizionamento muscolare deve essere pensato per lo sviluppo delle capacità condizionali ma non per l'apprendimento tecnico.
Le metodiche più efficaci per stimolare i processi summenzionati con l'obiettivo di organizzare o riorganizzare il movimento sono la destabilizzazione del sistema attraverso training propriocettivi, visualizzazioni mentali del gesto motorio, biofeedback, apprendimento imitativo (importanza "del saper fare" da parte dell'istruttore/trainer/maestro) uniti al coinvolgimento dei differenti recettori.
In conclusione a tutto ciò, non tormentatevi se i risultati non sono quelli attesi perché, che siate trainer o riabilitatori e per quanto logici, coerenti e professionali siano i vostri programmi, non sarete voi a deciderne l'esito: i sistemi biologici sono troppo complessi per essere in grado di prevederne l'andamento.